Beach, è tempo di scelte coraggiose

Sau-Foto Pasquali

Marco Benedetti

Non c’è che dire: dal punto di vista tecnico-organizzativo il Lazio non è secondo a nessuno. Anche con tempi strettissimi e quando tutto sembra far presagire un nulla di fatto, ecco apparire il coniglio dal cilindro e l’ennesima manifestazione ha il suo successo. Spenti i fari sul nono Beach Tour Regionale (ma da quando si comincia a contare?), legittima la soddisfazione dei vertici federali territoriali per l’ennesimo miracolo dopo i Mondiali di Roma. Soddisfazione che è soprattutto nostra, visto che la partenza vera di questo cammino che sfiora i dieci anni ha due nomi e due cognomi ben identificabili. Soddisfazione che ci permette anche di fare alcuni distinguo e sottoporre alcune riflessioni strutturali. Vero è che le 40 coppie della tappa finale sono un patrimonio importante del territorio e del movimento, ma il “vanto” dei numeri risulta fallace se si pensa che sin dalla prima edizione “eversiva” furono raggiunte tali statistiche. E c’è di più: nell’anno degli Europei di Roma con ben due manifestazioni in parallelo, il Beach Tour “storico” raggiunse punte di 60 coppie a tappa, quindi il presunto traino costituito dai Mondiali di giugno sembrerebbe non aver inciso in maniera sostanziale. Lasciando da parte i numeri un altro elemento di considerazione è quello relativo agli atleti coinvolti; nel femminile il turn over nelle nove edizioni è stato massiccio, poche delle protagoniste di quel progetto pionieristico calcano la sabbia del regionale. Per gli uomini il discorso è completamente inverso; Jimmy Sau  c’era allora, vincendo con Carletto Di Lena, e c’è adesso laureandosi miglior beacher regionale in coppia con il giovane Scuderi. A ben vedere negli anni sembra che pochissimo sia cambiato, i risultati quantitativi e qualitativi sono lì a dimostrarlo. Il Foro Italico di giugno ha fatto dire a molti che era la definitiva dimostrazione che il Beach Volley si era affrancato dall’indoor, ma forse non è così se non si mettono in essere cambiamenti strutturali che permettano un cammino più soddisfacente. Un miracolo come quello Daniele Lupo, affinato dal lavoro di strutture private come la Beach Volley Academy prima della benedizione federale, non può essere preso ad esempio se non vengono creati i giusti presupposti promozionali e metodologici. Il traino del Mondiale deve essere sfruttato per ripensare completamente le regole del movimento, gli appuntamenti, gli eventi ed il marketing.
Scelte coraggiose che implicano una revisione della struttura all’interno delle istituzioni nazionali e regionali, un ripensamento della formula del Campionato Italiano che dovrebbe tener conto maggiormente del lavoro e delle manifestazioni su scala territoriale evitando inutili e dannose sovrapposizioni che fanno il gioco di tanti “sepolcri imbiancati” , un coinvolgimento maggiore, attraverso obblighi ed incentivi,  delle tantissime società operanti sul territorio. Forse, alla fine di questo cammino, potremmo constatare che 40 coppie fanno parte della storia, anzi della preistoria del Beach Volley.